Quasi nulla di ciò che mangiano passa dal produttore a noi consumatori senza prima essere stata avvolta in qualche forma di imballaggio.

Ma cosa sappiamo delle sostanze chimiche utilizzate nel confezionamento, nello stoccaggio e nella lavorazione dei prodotti alimentari?

Di certo sono controllate. Rispettano rigidi regolamenti redatti dopo averne valutato la tossicità.

Però, c’è un quesito a cui oggi non c’è risposta. Qual è il loro effetto nel lungo termine? Cosa succede nel nostro organismo quando piccolissime quantità di queste sostanze – che quando si mantengono sotto una certa soglia sono innocue – si accumulano?

È questa la domanda che si sono posti ricercatori svizzeri sulle pagine del Journal of Epidemiology and Community Health, una delle riviste del gruppo Bmj, che invitano a non sottovalutare il problema. Nel lungo termine queste sostanze potrebbero essere dannose per la salute dal momento che la maggior parte di esse non sono inerti e possono penetrare nel cibo che mangiamo.

Le sostanze annoverate dai ricercatori sono innumerevoli. La formaldeide, per esempio, una sostanza che aumenta il rischio di cancro ed è legalmente utilizzata in materiali materiali di imballaggio. La formaldeide è ampiamente presente, anche se a livelli bassi , in bottiglie di plastica utilizzate per le bevande gassate e stoviglie in melammina.

«Mentre la scienza dibatte e i politici si impegnano a soddisfare le esigenze delle parti interessate, i consumatori rimangono esposti a questi sostanze chimiche tutti i giorni, per lo più inconsapevolmente», sottolineano gli autori.

Il problema non è di facile soluzione. Le sostanze chimiche utilizzate negli imballaggi alimentari sono più di 4000, spiegano i ricercatori. Inoltre i potenziali cambiamenti cellulari causati da esse, e, in particolare, la capacità di alterare il funzionamento degli ormoni non sono nemmeno prese in considerazione nelle analisi di routine. Inoltre, oggi è ormai difficile dimostrare un rapporto causa-effetto tra esposizione a queste sostanze e le varie malattie: infatti non esistono in pratica popolazioni non esposte da confrontare con chi invece è stato esposto ai materiali.

Ma una qualche valutazione è necessaria per cominciare a capire i potenziali legami tra sostanze chimiche a contatto con alimenti e patologie croniche come tumori, obesità, diabete, disturbi neurologici e infiammatori, dicono i ricercatori

«Dal momento che la maggior parte dei cibi sono confezionati, e l’intera popolazione può essere esposta, è della massima importanza che le lacune nelle conoscenze vengono colmate in modo affidabile e rapido», concludono.

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